La tua azienda è fallita, hai degli stipendi arretrati ancora da riscuotere e il processo fallimentare dura da più di sei anni? Puoi chiedere un risarcimento: lo stabilisce la Legge Pinto, che prevede un’equa riparazione per la durata “irragionevole” di tutte le tipologie di processi.
I tempi della giustizia, si sa, possono essere molto lunghi; un lavoratore che vanti dei crediti nei confronti della propria ex azienda fallita (stipendi arretrati o TFR), potrebbe scoraggiarsi di fronte ad un processo fallimentare interminabile, senza sapere se e quando potrà recuperare quanto gli spetta. Esiste però una legge, chiamata “Legge Pinto” (Legge 89/2001), che riconosce la possibilità di un risarcimento per le parti di un processo che ha avuto una durata considerata eccessiva, ovvero “irragionevole”.
Durata “irragionevole” e risarcimento
La durata prevista come “ragionevole” per una procedura fallimentare è di sei anni. Dal settimo anno in poi di durata del fallimento, ciascuno dei creditori che a quel momento non hanno visto soddisfatto per intero il loro credito, maturano il diritto di ricevere un risarcimento causato dall’eccessiva durata del processo. Il risarcimento varia da un minimo di 400 euro ad un massimo di 800 euro per ogni anno di durata in eccesso rispetto ai sei. Il limite massimo del risarcimento ammonta al credito vantato nei confronti dell’azienda fallita.
Come ottenere il risarcimento
Per ottenere il risarcimento in seguito alla durata irragionevole del processo fallimentare, occorre proporre un ricorso avanti alla Corte d’Appello del distretto in cui è iniziato il procedimento presupposto, con la difesa tecnica di un avvocato.
Il ricorso può essere proposto solamente a procedimento fallimentare terminato (e non quindi a procedimento in corso), nel termine di sei mesi dalla data della chiusura del fallimento.
Entro poche settimane dalla domanda, la Corte d’Appello emette un provvedimento di condanna immediatamente esecutivo nei confronti del Ministero della Giustizia. Il risarcimento viene liquidato in tempi diversi a seconda della Corte d’Appello in cui è stato emesso il provvedimento di condanna.