L’equa riparazione per la durata “irragionevole” di tutte le tipologie di processi: risarcimenti per i contenziosi civili superiori a 5 anni e per le procedure fallimentari con durata oltre i 6 anni. I ricorsi da presentare in Corte d’Appello entro 6 mesi dalla chiusura del procedimento.
La c.d. “Legge Pinto”, ovvero la legge n.89/2001, ha lo scopo di risarcire le parti dei processi che hanno avuto una durata considerata eccessiva, ovvero “irragionevole”.
La legge trova applicazione a tutti i procedimenti civili, penali, amministrativi, fallimentari, contabili e, in minima parte, anche tributari.
L’eccessiva durata del procedimento fallimentare
Affinché si possa aver diritto al risarcimento, denominato “equa riparazione”, occorre, in primo luogo, che vi sia stata l’ammissione al passivo del cliente (anche, eventualmente, a seguito di opposizione).
La durata prevista come “ragionevole” per una procedura fallimentare è di sei anni.
Dal settimo anno in poi di durata del fallimento, ciascuno dei creditori che, a quel momento, non hanno visto soddisfatto per intero il loro credito, ha diritto a ricevere il risarcimento del danno da eccessiva durata del processo.
Il risarcimento pro capite varia da un minimo di 400€ ad un massimo di 800€ per ogni anno di durata in eccesso rispetto ai sei.
Anche il soggetto che sia eventualmente fallito in proprio (ditta individuale o soci illimitatamente responsabili) ha diritto, nella stessa misura, alla “equa riparazione” nel caso di eccessiva durata della procedura fallimentare che lo riguarda.
L’eccessiva durata del procedimento civile
Analogo ragionamento è per il contenzioso civile, per il quale la durata ragionevole è considerata di tre anni, per il primo grado, due per l’appello ed uno per la cassazione; in concreto, quindi, il risarcimento spetta, a titolo d’esempio, quando una causa è definita in appello oltre cinque anni dal suo inizio in primo grado (cioè praticamente sempre).
Le modalità per ottenere l’equa riparazione
Per conseguire le somme, occorre proporre un ricorso avanti alla Corte d’Appello del distretto ove è iniziato il procedimento presupposto, con la difesa tecnica di un avvocato.
Il ricorso può essere proposto solamente a procedimento (fallimentare e/o civile) terminato (e non quindi a procedimento in corso), nel termine di sei mesi dalla data della chiusura del fallimento, ovvero del passaggio in giudicato della sentenza civile.
Entro poche settimane dalla domanda, la Corte d’Appello emette un provvedimento di condanna immediatamente esecutivo nei confronti del Ministero della Giustizia.
Il risarcimento viene liquidato in tempi diversi a seconda della Corte d’Appello in cui è stato emesso il provvedimento di condanna.
La chiusura c.d. anticipata dei procedimenti fallimentari
Il momento attuale è particolarmente propizio per considerare la questione, in quanto le recenti riforme della Legge Fallimentare (in particolare dell’art.118) sono ampiamente sfruttate dai Giudici Delegati per chiudere anticipatamente i fallimenti aperti da troppo tempo, per i quali, di conseguenza, inizia (o è appena iniziato) a decorrere il semestre entro cui proporre il ricorso Pinto.
I Tribunali italiani presentano ciascuno decine di fallimenti tuttora aperti o appena chiusi, per i quali può essere proposto il ricorso, nell’interesse di tutti i creditori insinuati al passivo.