La V° sezione della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 9672 del 19 aprile 2018, è tornata sulla delicata questione della responsabilità dei soci per debiti di una società cancellata.
I fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate aveva provveduto ad iscrivere a ruolo, con emissione della cartella di pagamento, la somma di euro 53.754,87 per omesso versamento Irap e IVA nei confronti di una società a responsabilità limitata. La società impugnava la cartella di pagamento, eccependo l’intervenuta decadenza dell’Ufficio impositore.
La Commissione Tributaria provinciale accoglieva il ricorso della società e, quindi, annullava la cartella opposta. La decisione era stata confermata, con diversa motivazione, dalla Commissione Tributaria Regionale.
Successivamente alla sentenza della CTR, la società veniva cancellata dal registro delle imprese.
L’Agenzia delle Entrate, quindi, aveva proposto ricorso per cassazione nei confronti dei soci della società, con due motivi.
I soci della società, a questo punto, resistevano con controricorso, eccependo il difetto di legittimazione passiva.
La questione della responsabilità dei soci per debiti di una società cancellata
I soci della società cancellata, infatti, alla luce del tenore letterale dell’art. 2495 c.c., secondo cui:
dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione
avevano ritenuto che, non essendo stata ripartita nessuna somma per mancanza di attivo, non sussistesse la legittimazione passiva dei medesimi.
In particolare, i soci richiamavano quell’orientamento della Suprema Corte (23916/2016, 13259/2015 e 2444/2017), secondo cui:
E’ inammissibile il ricorso per cassazione proposto dagli ex soci di una società di capitali avverso l’avviso di accertamento emesso nei confronti della stessa, cancellata dal registro delle imprese nelle more del giudizio di secondo grado, qualora sia carente la prova dell’avvenuto subentro di tali soggetti dal lato passivo nel rapporto d’imposta, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione. L’accertamento di tale circostanza costituisce, invero, presupposto dell’assunzione, in capo al socio, della qualità di successore e, correlativamente, della legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c. e, come tale, in presenza (come nella specie) di contestazione sul punto, va provata dal soggetto che si costituisce in giudizio in tale qualità.
La decisione della Corte di Cassazione
La V° sezione della Corte di Cassazione, con la pronuncia qui in commento, ha ritenuto pienamente ammissibile il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.
Appare utile ripercorrere il ragionamento seguito dagli Ermellini:
La ratio dell’art. 2495 c.c., alla luce delle sentenze delle Sez. Unite nn. 6070 e 6072 del 12 marzo 2013, sarebbe quella di “impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest’ultimo del suo diritto”;
La suddetta ratio può essere realizzata solo se si riconosce che “i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati”;
Fermo restando il limite di responsabilità di cui all’art. 2495 c.c., laddove fosse evidente “l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo”
La Corte di Cassazione, con sentenza 7 aprile 2017, n. 9094 (confermata da Cass. 15035/2017), aveva già affermato che: “In tema di contenzioso tributario, qualora l’estinzione della società di capitali, all’esito della cancellazione dal registro delle imprese, intervenga in pendenza del giudizio di cui la stessa sia parte, l’impugnazione della sentenza resa nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta in quanto il limite di responsabilità degli stessi di cui all’art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci”;
La Corte di Cassazione, con sentenza 19 ottobre 2016, n. 21105, aveva, inoltre, affermato, in tema di esperimento dell’azione revocatoria, che: “L’estinzione della società non fa venire meno l’interesse ad agire in revocatoria perché il creditore non potrebbe più conseguire un titolo esecutivo nei confronti del soggetto estinto: ed infatti, non solo il titolo esecutivo validamente formato contro la società, anteriormente alla cancellazione dal Registro delle imprese, può essere fatto valere, dopo l’estinzione della società, direttamente nei confronti dei soci che assumono la posizione di soggetti passivi dell’azione esecutiva, ma il titolo esecutivo può essere conseguito anche dopo l’estinzione del soggetto societario – per un credito insorto pendente societate -, dovendo intendersi legittimati passivi della domanda di accertamento del credito i singoli soci, che assumono la qualità di successori a titolo particolare del soggetto estinto subentrando nei rapporti attivi e passivi che facevano capo alla società”;
La possibilità di sopravvenienze attive o anche solo di beni e diritti non contemplati nel bilancio finale di liquidazione (con l’esclusione delle mere pretese), secondo la pronuncia in commento, non consentirebbe di escludere, in radice, l’interesse per un creditore sociale di procurarsi un titolo nei confronti dei soci.
Gli effetti della sentenza
Alcuni commentatori hanno, imprudentemente, affermato che, alla luce della presente sentenza, sarebbe stata introdotta la responsabilità dei soci per debiti di una società cancellata.
Alla luce di un più attento esame della sentenza, tuttavia, ritengo che non siano stati sovvertiti i principi cardine della limitazione di responsabilità previsti per le società di capitali, né, tantomeno, l’essenza stessa dell’art. 2495 c.c.
A mio modesto avviso, questa pronuncia ha una valenza più che altro processuale, in quanto ribadisce che la mera cancellazione di una società, quand’anche non risultassero somme o beni distribuiti ai soci nella fase di liquidazione, non elimina in radice l’interesse dei creditori sociali ad agire nei confronti dei soci superstiti per l’accertamento dei propri crediti, poiché:
potrebbero essere azionate delle garanzie;
potrebbero esserci beni e/o somme non considerate nel bilancio finale di liquidazione;
potrebbero esserci sopravvenienze attive;
Logicamente, in presenza di un “attivo” non distribuito e scoperto “successivamente” alla cancellazione sussisterà un regime di comunione ordinaria tra i soci superstiti.
Tutto ciò, in ogni caso, non elimina la responsabilità intra vires: la responsabilità dei soci per debiti di una società cancellata sarà comunque limitata al residuo attivo della società (anche laddove sopravvenuto o scoperto successivamente).